di Salvo Barbagallo
Non occorrono grandi esperti militari, o strateghi della guerra per comprendere il ruolo che alla Sicilia è stato assegnato da tempo nelle questioni militari che riguardano l’area a sud dell’Europa, cioè quell’area che comprende i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente. Ne sono (forse) pienamente consapevoli quanti abitano nelle zone limitrofe alle basi USA spacciate per installazioni “italiane” che si trovano un più dovunque sul territorio dell’Isola, da Trapani ad Augusta, da Niscemi a Sigonella, a Portopalo, e così via. Sicilia frontiera, frontiera aperta ai migranti, frontiera fortemente blindata militarmente contro potenziali (?) nemici. Ufficialmente dimenticato il periodo della guerra fredda che vedeva fronteggiarsi nelle acque prospicienti la Sicilia e in tutta l’area del Mediterraneo la Sesta flotta statunitense e la flotta dell’Unione Sovietica con oltre cento navi in azione contrapposte in questo mare, lo sviluppo della tecnologia ha mutato le strategie, ma di certo non la pericolosità. Scomparsa l’URSS, il nemico numero “1” degli USA, e di conseguenza degli alleati a stelle e strisce, continua a mantenere il colore del rosso e, da anni, si chiama Putin e la nuova Russia. Per gli Stati Uniti d’America una leadership da mantenere ad ogni costo nonostante (ma probabilmente anche per questo) che le conflittualità si siano profondamente allargate mettendo a rischio l’intero pianeta terra.
Si vuole “giocare” alla guerra? No, più semplicemente si vogliono mantenere o raggiungere “supremazie” anche a rischio di pagare conti salatissimi.
L’ultima fibrillazione mondiale la evidenzia Paolo Mastrolilli con un suo reportage pubblicato sul quotidiano La Stampa ieri (10 dicembre): Gli Usa hanno sondato gli alleati Nato, Italia compresa, chiedendo di elaborare ed eseguire una strategia comune, per contrastare l’offensiva Russia finalizzata a destabilizzare le democrazie occidentali. L’iniziativa, confermata a La Stampa da varie fonti autorevoli, era stata avviata dall’amministrazione Obama, e proseguita da quella di Trump, a dimostrazione del fatto che si tratta di una preoccupazione bipartisan. Nell’intervista pubblicata ieri, l’ex vice assistente segretario alla Difesa Michael Carpenter ci ha detto che «parlavamo regolarmente con i nostri interlocutori tra gli alleati Nato, inclusa l’Italia, per discutere le operazione di influenza maligna condotte da Mosca». Carpenter ha dichiarato di non sapere se il tema era stato trattato durante la vista alla Casa Bianca dell’allora premier Matteo Renzi, nell’ottobre del 2016, ma ha aggiunto che lo ritiene probabile. Una fonte presente a quell’incontro conferma che in effetti il problema fu sollevato, come peraltro accadeva durante tutti colloqui con i leader europei. L’intelligence americana infatti era arrivata alla conclusione che il Cremlino aveva lanciato un’offensiva a tappeto per destabilizzare l’Occidente e le sue alleanze, come Nato e Ue, allo scopo di promuovere i propri interessi geopolitici (…). Si tratta soltanto di “interessi” contrapposti? Riferisce Mastrolilli: Alcuni elementi di questa strategia sono ripresi nell’articolo pubblicato su Foreign Affairs da Carpenter, insieme all’ex vice presidente Biden. Il primo punto è rafforzare gli investimenti nella difesa collettiva, per lanciare alla Russia il chiaro segnale che qualunque intervento sul modello di quello in Ucraina non sarebbe più tollerato. Poi si suggerisce di ridurre la vulnerabilità dei sistemi politici, digitali, dell’informazione e della finanza, coordinando le intelligence, rafforzando le difese cyber, e monitorando col settore privato le fake news distribuite attraverso i social per bloccarle. Quindi si consigliava di sorvegliare tanto i contatti politici diretti fra il Cremlino e i vari partiti occidentali, quanto i possibili casi di corruzione (…).
Di certo in questo quadro i “possibili” riferimenti di coinvolgimenti riguardano l’Italia, il termine “Sicilia” non appare, come mai è apparso in precedenza in qualsiasi “trattativa” USA/Italia, a parte poi vedere rafforzata la presenza militare USA nell’Isola e vedere trasformati “pezzi” di territorio isolano in roccaforti ad alta tecnologia bellica. Quasi sicuramente (e noi diciamo “purtroppo”) neanche il nuovo governo della Regione Siciliana si occuperà di questa delicata problematica: non si può ignorare, infatti, che gli ultimi “accordi” sul piano militare USA/Italia sono stati sottoscritti dall’allora ministro Ignazio La Russa, punto principale di riferimento politico dell’attuale governatore Nello Musumeci: è utopistico ritenere che proprio Musumeci possa smentire o opporsi a ciò che ha fatto il suo mentore. Forse dimenticando che anche loro sono Siciliani…