di Guido Di Stefano
La Sicilia, un territorio ancora tutto da scoprire, ben poca cosa quella che appare. Una storia che a tutt’oggi è un enigma, che può trovare risposte nell’espressione grittografata “I Ubi Focus Flammat”.
Vediamo lontane, ma sono vicine a noi, testimonianze che non sappiamo interpretare. Di tanto in tanto si è tentati di cercare qualche prova di ciò che, apparentemente, non esiste. Quando ci si accorgerà che la nostra Terra, la nostra Madre, dea fra le dee della notte dei tempi, fu la terra delle tre dee, dei tre cereali, delle tre città? Quando ci si accorgerà che qui si conoscevamo l’ulivo, la vite, il grano, quando i Greci ancora non c’erano? Che qui si lavoravano i metalli e le pietre delle miniere quando Mosè vide la terra promessa?
Esistono tracce di un tempo che non si conosce; tracce trascurate.
Appaiono i “Canes venatici” e “Vortice”, palesemente o confusi con altri richiami. Fiammeggianti o appena visibili, concorrenti o contrastanti, indicano l’ “inizio” e forse la fine. Di cosa? E’ tutto da scoprire: certo è che qualcuno li conosceva secoli, millenni addietro.
Si osservno antiche immagini, nascoste incisioni, così come furono, così come sono: “EX.CA.LIB.UR.” (ovvero Ex camino Liberae Urigenae), “A.R.T.U’, “GRA.AL.” (ovvero verosimilmente grandis alveus), “Camelot” (magari “CA.-ME.-L.O.-T”), “Avalon”, e tutte le altre che qui sul nostro suolo nacquero. E mi chiedo perché oggi alcuni (una intera cittadinanza) sono detti Magonzini.
Si vede il “Grandis”, la sua spada, il suo cavallo lì nella grotta (nascosta forse in un sito che richiama l’espressione passus grandis erit oppur fuit) a riposare in attesa della grande epocale riscossa, tramandata nei miti, solo nei miti forse, perché nella realtà anche dei miti siamo stati spogliati da “ospiti” non graditi.
Si legge l’arcana ed antica scritta “ ؞I COFFUUS”. Forse era parte di un elaborato gruppo scultoreo inneggiante alla Sapienza, alla Bellezza, alla Forza, alla Vita (o Albero della vita). Tutto è stato inserito in “murature”. Solo così ci sono pervenute. La scritta, forse anche incompleta, andrebbe magari letta “؞I Ubi FOCUS Flamat” (se vuoi la sapienza vai dove fiammeggia il fuoco) e la statua (in arenaria) mostra chiaramente il “cappello sumerico” il leone e traccia di spirale. Sul finire del 18° secolo il tutto fu rimpiazzato da qualcosa di meno paganeggiante: un gigante nudo con aquila in testa, leone posteriormente ai piedi, e due serpenti avvitati a spirale contrapposta; e delle epigrafi, enigmatiche, completano il gruppo. Alcuni hanno voluto vedere negli animali le tre genti di Randazzo, dimenticando o ignorando che il gruppo originale non rappresentava tre bestie.
Le epigrafi, forse, richiamano vagamente qualcosa di vasto?
Una pentapoli, come da più parti affermato?
O piuttosto una città, un’urbe, un universo suddiviso in cinque nuclei? Magari ho visto qualche vago richiamo in tal senso.
E nella città, le chiese: per lo più sepolte quelle antiche; traslate e “disorientate” (ruotate) le “nuove”. Le datazioni? Fatte salve alcune opere e le “fondazioni” di altre, con il beneficio di inventario.
E poi ancora angoli, distanze, rapporti, costellazioni varie: vero o falso? In una città dove i notabili comandavano più dei principi, quali segreti possono essere celati? Qui dove il mais ed il tabacco sono stati raffigurati su pietra secoli prima di Colombo, dove la doppia spirale incrociata è scolpita (con eliche distinte ma “contigue”) quasi fino alla noia? Dove il tema della scacchiera (vuoti e pieni, bianco e nero) non manca mai, dove molto è stato “mascherato” visibilmente nelle grandi opere ecclesiastiche.
Cosa può essere accaduto? Cosa ha fatto perdere un valoroso cavallo bianco per un “dubbio” leone?
Si dovrebbe indagare, cercare, esplorare e forse si riuscirà a dimostrare qualcosa o tutto.